La pianta della liquirizia, il cui nome scientifico è “Glycyrrhiza glabra”, è conosciuta ed impiegata da circa 35 secoli ed è citata da antichi testi cinesi e dalla tradizione ippocratea. Essa è presente in molti paesi, come l’Italia, la Grecia, la Turchia, l’Afghanistan, l’Iran e la Mongolia, ma – secondo quanto autorevolmente afferma l’Enciclopedia Britannica – la migliore qualità di liquirizia “is made in Calabria”. La storia della sua trasformazione è molto antica ed è legata alle vicende del latifondo e delle famiglie feudatarie calabresi. Già nel 1500, quindi, si inizia a estrarre il succo di liquirizia e a questa attività si dedica anche la famiglia dei Baroni Amarelli, che alternava alla cura del proprio patrimonio agricolo anche un forte impegno militare (v. Alessandro Amarelli, crociato, morto in Palestina nel 1103 e Francesco Amarelli, uno dei vincitori della battaglia di Otranto, morto nel 1514) e culturale (come Giovan Leonardo, Conte Palatino e Priore dell’Università di Messina, morto nel 1667 e Vincenzo, patriota e maestro di Luigi Settembrini).
Nel 1731, secondo la tradizione, viene fondato l’attuale “Concio”, manifattura di esclusiva proprietà familiare, alla cui attività fu dato particolare impulso nel 1800 con il miglioramento dei trasporti marittimi e con i privilegi e le agevolazioni fiscali concesse dai Borbone a queste industrie tipiche. Intorno al 1840 abbiamo testimonianza della vasta attività di Domenico –allargata fino alla capitale, Napoli– e di quella dei suoi discendenti, per giungere a Nicola che nel 1907 (come descritto nella Rivista Agraria dell’Università di Napoli ) ammodernò la lavorazione con due caldaie a vapore destinate, rispettivamente, a preparare la pasta di radice e ad estrarne il succo, mentre una pompa a motore da 200 atmosfere metteva in azione i torchi idraulici per comprimere di nuovo la pasta e ricavarne altro liquido.
Difficoltà ce ne sono state tante, testimoniate anche da una petizione inviata al Ministero dell’Industria in cui si metteva l’accento sulle condizioni dell’industria calabrese all’indomani dell’Unità d’Italia; si giunge, poi alla grande crisi del 1929 e all’arrivo degli Americani che, con una massiccia sottrazione di materia prima, fecero sì che – poco prima della seconda guerra mondiale – chiudessero quasi tutti i caratteristici “conci”, ubicati prevalentemente nel territorio tra Rossano e Corigliano. Si arricchiva, così, purtroppo, il patrimonio archeologico industriale regionale, mentre l’Amarelli, introducendo una serie di innovazioni tecnologiche che non hanno alterato le note artigianali del prodotto, incrementava sempre più la sua attività, rimanendo erede pressoché unica di una tradizione tipica della
Accanto ai capannoni del reparto produzione, svetta la ciminiera della caldaia, museo di se stessa, che porta la data del 1907 e che fu considerata, all’epoca, un impianto modernissimo. Ancora funzionante, anche se non più attiva, veniva alimentata con la sansa, residuo della lavorazione delle olive dopo averne estratto l’olio. L’uso di questo combustibile testimonia come nel ciclo produttivo agricolo nulla si creava e nulla si distruggeva. Infatti i rami sotterranei della pianta della liquirizia, che altrimenti avrebbero infestato il terreno, venivano, come ora, utilizzati per ottenere un prodotto gradito al gusto, mentre l’impiego della sansa esausta evitava di aggravare il problema dello smaltimento dei rifiuti derivanti dall’estrazione dell’olio.
La lavorazione non è dissimile da quella mirabilmente descritta e illustrata dai grandi viaggiatori del diciottesimo secolo, fra cui l’Abate di Saint-Non, ma ogni processo è adeguato in base alle più esigenti prescrizioni in tema di igiene e sicurezza sul lavoro.
Certo non c’è più il fuoco diretto sotto la grande “conca” in cui bolle la nera pasta, né ci sono più uomini che girano faticosamente la liquirizia che si fa sempre meno fluida, ma c’è ancora –accanto alla “conca”– un “mastro liquiriziaio” che controlla l’esatto punto di solidificazione del prodotto.
Solo una grandissima esperienza, che si tramanda da secoli di padre in figlio, può riuscire a far comprendere, senza errore malgrado le quotidiane variazioni atmosferiche, il momento in cui la pasta ha raggiunto la consistenza ottimale.
La pasta densa, scura, lucida e profumata viene portata alle forme desiderate attraverso una serie di macchinari prototipo, frutto della centenaria esperienza aziendale e l’ultima fase, la lucidatura, avviene ancora esclusivamente con l’impiego di forti getti di vapore acqueo, senza aggiunta di alcuna sostanza chimica. A questo punto le liquirizie, nere, brillanti e seducenti, sono pronte per essere confezionate in eleganti scatolette metalliche che riproducono antiche immagini tratte dagli archivi della Casa.
La gamma dei prodotti “Amarelli” comprende tutto quanto si può ricavare dalle radici di liquirizia: il semplice bastoncino di legno grezzo, le liquirizie pure dal profumo naturale o con aggiunta di aroma di anice o di menta, le liquirizie gommose profumate all’arancia e alla viola ed infine la serie dei prodotti di liquirizia confettata, dal classico “bianconero” al ricercatissimo “sassolino dello Jonio”. Esistono, poi, prodotti più fantasiosi come il liquore, la birra, la grappa, il cioccolato, i biscotti, i torroncini, i tagliolini, il sale, sempre alla liquirizia e, infine, l’acqua di colonia e lo shampoo-doccia alla liquirizia.
Nel 1996 l’Azienda è stata cooptata nell’Associazione internazionale “Les Hénokiens”, con sede a Parigi che raccoglie soltanto 48 imprese in tutto il mondo e Pina Amarelli ne è stata per un quadriennio la Presidente internazionale. L’ambizione degli Hénokiens è testimoniare, con il proprio esempio, come una tradizione bicentenaria ed un forte spirito di adattamento si accordano perfettamente – all’inizio del XXI secolo – con le necessità della nostra epoca.
l 21 luglio 2001 si è inaugurato il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”, unico al mondo, per presentare al pubblico una singolare esperienza imprenditoriale, nonché la storia di un prodotto tipico del territorio calabrese, il quale nello stesso anno è stato insignito del Premio Guggenheim - Premio Speciale Il Sole 24 Ore - e al quale le Poste Italiane hanno dedicato un francobollo appartenente alla serie tematica “Il Patrimonio Artistico e Culturale Italiano”.
Il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” ha sede presso un’antichissima dimora di famiglia, edificio risalente al 1400 almeno per quanto riguarda l’impianto basilare, mentre l’attuale facciata è del 1600 (esclusa un’ala ricostruita duecento anno orsono dopo un incendio). La costruzione, che fa parte dell’Associazione delle Dimore Storiche Italiane, presenta l’aspetto di una struttura di difesa di impronta feudale, con un’imponente corpo di fabbrica al centro di un agglomerato abitativo, costituito dalle case di coloro che operavano nell’azienda. Oltre al Museo nella dimora è custodito l’Archivio Amarelli il quale, con decreto del Ministero per i Beni e le attività Culturali del 20 dicembre 2012, è stato dichiarato d’interesse storico particolarmente importante e raccoglie documenti della famiglia e dell'impresa dal 1445 ad oggi.
S.S.106, Contrada Amarelli, 87067 Rossano (CS)
+39 0983511219